La carica delle micro imprese

04 luglio 2013

Rosaria Bono

Da anni studiosi, economisti e politici indicano come causa della crisi della produttività del nostro Paese il sottodimensionamento delle nostre imprese.

Il Presidente Draghi nel corso della Conferenza Ordinaria dei Partecipanti della Banca d’Italia del 2011 ha evidenziato che le imprese italiane sono troppo frammentate rispetto ad altri Paesi europei avanzati. “La flessibilità tipica delle piccole imprese, che in passato ha contribuito a sostenere con successo la nostra competitività, oggi non basta più” ha detto l’allora Governatore: “occorre un maggior numero di imprese medie e grandi che siano in grado di accedere rapidamente ed efficacemente ai mercati internazionali, di sfruttare i guadagni di efficienza offerti dall’innovazione tecnologica. Le imprese italiane sono in media del 40 per cento più piccole di quelle dell’area dell’Euro. Fra le prime 50 imprese europee per fatturato sono comprese 15 tedesche, 11 francesi, solo 4 italiane. La struttura produttiva del nostro Paese appare statica: i passaggi da una classe dimensionale a quella superiore sono rari”.

Nello stesso senso si è espresso il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giovannini, quando era presidente dell’Istat, che alla domanda se la dimensione dell’impresa conta, ha risposto: «Posto che la produttività cresce col crescere della dimensione aziendale l’Italia, che ha una prevalenza di piccole imprese, ha ovviamente un problema in più. Perché a parità di altre condizioni abbiamo livelli di produttività mediamente più bassi. Questo fenomeno emerge in particolare nel settore manifatturiero dove abbiamo circa 500 mila imprese, molte più che negli altri paesi europei, con una incidenza molto molto più alta in particolare di microimprese, quelle con meno di 10 dipendenti. Nel 2000 la manifattura italiana aveva un gap rispetto agli altre grandi economie europee del 20% e nel 2007 addirittura del 25%».

Desta quindi un certo stupore la decisione del Governo di estendere l’applicazione delle norme che hanno introdotto la società a responsabilità semplificata con capitale minimo di un euro e statuto standard anche agli over 35, dando il via alla nascita una miriade di nuove micro imprese, difficilmente competitive sul mercato globale e rispondenti alle esigenze di produttività, invece di concentrare i propri sforzi su strumenti atti a consentire l’aggregazione e la crescita dimensionale delle aziende stesse.

Se queste società potevano avere, seppur con i vari dubbi espressi dagli osservatori, una ragione per i giovani neo imprenditori, spingendoli ad abbandonare l’ottica del posto fisso per cercare nuove strade e mettere in gioco le proprie idee innovative, non si capisce quale sia l’utilità per coloro che sono già nel mondo delle imprese. Per ipotesi Cordero di Montezemolo e Della Valle potrebbero costituire una società a responsabilità limitata con un euro di capitale…

Queste società non possono non suscitare perplessità agli operatori: chi contratterà con una società che dà in garanzia un solo euro? Le banche potranno ottenere garanzie personali dai soci (svuotando così di fatto la limitazione della responsabilità) ma i fornitori, che in questo momento di crisi non hanno alcuna forza contrattuale, che garanzie avranno? E i dipendenti di queste nuove società? Non dimentichiamoci che dietro la limitazione della responsabilità, unita alla depatrimonializzazione, possono nascondersi fenomeni di investitori “poco trasparenti”.

Anche Marina Calderone, consulente del lavoro e presidente del CUP, ha espresso i suoi dubbi: “Il problema della srl semplificata non sono i costi, visto che tra quella ordinaria e quella semplificata si risparmierà solo l’onorario del notaio ma la patrionializzazione la responsabilità verso terzi.
Chi avrà interesse a contrattare con una srl i quali soci risponderanno delle obbligazioni assunte fino al limite di 1 euro? Quale istituto di credito, senza garanzie reali aprirà una minima linea di affidamenti?
Si può fare impresa se gli imprenditori non hanno nemmeno un minimo di capitale da versare e 1500 euro da corrispondere al notaio?” Sottolineando il problema dei costi burocratici che non vengono meno: “Dall’analisi dei costi complessivi per la fase di start up di una SRL, fatta dalla nostra Fondazione Studi, emerge un costo complessivo non inferiore a 8.000 euro scaturente dagli oneri di iscrizione presso i vari Istituti e delle relative tasse governative. Mentre non si pagano gli onorari per la costituzione presso il notaio”.

Appare quindi di tutta evidenza come il limitare gli incentivi alla semplificazione della fase di costituzione, senza preoccuparsi del post stipula, sia una prospettiva di minima utilità.
La costituzione notarile attuava già la massima semplificazione, accentrando nelle mani del notaio la stesura dell’atto costitutivo e dello statuto, l’omologazione, la riscossione e il versamento delle imposte, l’iscrizione nel Registro Imprese, tutto in via telematica, con la realizzazione dell’obbiettivo dell’impresa in un giorno.
Ridurre l’autonomia negoziale dei soci, comprimendola nell’accettazione di uno statuto standard, non fa certo sì che la società nasca con una veste giuridica idonea alla sopravvivenza (solo quale esempio: come fanno i soci a rinunciare a disciplinare la cessione delle quote con clausole di prelazione e gradimento?) e allo sviluppo per il mercato.
Le imprese hanno necessità di veder semplificate altre fasi della propria vita, in cui gli adempimenti burocratici ed i relativi costi, nonché la pressione fiscale e la sua farraginosità, rendono davvero difficile la crescita e lo sviluppo.
Hanno bisogno di incentivi per raggrupparsi e crescere a sufficienza per divenire competitive sul mercato internazionale. Strumenti come la rete d’impresa, che ha lo scopo di superare quelle che sono le problematiche che derivano dalle ridotte dimensioni, andrebbero promossi: le aziende si aggregano, attraverso forme di coordinamento di natura negoziale, per aumentare la loro massa critica e avere maggiore forza sul mercato e in questo modo, aumenta il loro potere contrattuale con i fornitori, la possibilità di investire, l’efficacia del reparto logistico e, in generale, è possibile superare tutti quei fattori strutturali considerati come un limite per imprese di piccole dimensioni.

L’allargamento della forma della srls a tutti ha un ulteriore effetto secondario: di fatto rischia di far venir meno l'uso delle società di persone, cancellando con un tratto di penna una grande parte del nostro diritto commerciale, che ha storia e ancora importante utilità. Il legislatore avrà avuto presente questo effetto?

Un’ultima notazione a titolo esclusivamente personale. La gratuità accettata volontariamente dal notariato come proprio contributo alle iniziative a favore dei giovani, a mio parere, non ha più ragion d’essere. L’art. 36 della nostra Costituzione riconosce a tutti i lavoratori il diritto alla retribuzione per il lavoro prestato, quindi questo diritto deve essere riconosciuto anche al notaio (e ai suoi dipendenti) per la costituzione delle società. Torniamo all’esempio di prima: Montezemolo e Della Valle avrebbero diritto ad usufruire gratuitamente dell’opera del giovane notaio, che appena superato il concorso sta pagando il mutuo contratto per le spese di impianto dello studio (tra cui anche quelle per l’hardware ed il software necessari per la registrazione ed iscrizione della loro società)? L’iniquità di siffatta norma mi pare non necessiti di commenti.

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